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Francesco - la Biografia
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Francesco
Guccini nasce a Modena, in via Domenico Cucchiari 22, il 14 giugno del 1940.
Il 10 giugno, quattro giorni prima, l'Italia fascista trascinava un intero paese in
guerra: è così che Ferruccio Guccini fu costretto a partire per il fronte.
«Siccome cominciavano a essere razionati i generi alimentari», la madre di
Francesco,
Ester Prandi, decide di trasferirsi a Pàvana - ridente località
dell'Appennino pistoiese - nella casa dei nonni paterni, dove «almeno il
mangiare sarebbe stato assicurato» [p. 11].
Guccini oggi ricorda l'atmosfera pavanese che tanto faceva a pugni con quella
tetra della guerra: «rimasi in quel vecchio e bellissimo mulino per i primi
cinque anni della mia vita, ricevendo l'imprinting pavanese di cui parlo spesso.
Lì imparai a parlare, mangiare, camminare, osservare, ridere, piangere,
desiderare» [p. 11].
Cinque anni più tardi, nel 1945, Francesco e la sua famiglia tornano a Modena,
dove il padre, uscito dal fronte nell'agosto di quell'anno, riprende il lavoro
di impiegato alle Poste. «Non fu un grande ritorno, per me. Io riuscivo a
sopportare la monotonia di Modena solo pensando che prima o poi sarei tornato al
mulino» [p. 20]. Dell'esilio modenese Guccini canterà in
Piccola Città: come non ricordare i "giochi consumati dentro al Florìda"?
Un pezzo d'infanzia di Francesco, ricordo forse dei giochi da indiani e cow-boy
o delle "imberbi grazie" che una sua amichetta gli mostrava.
Dopo le scuole elementari e medie, studia alle magistrali «perché era il liceo
dei poveri e degli indecisi.» [p. 24], diplomandosi nel 1958. Ma già nel 1957, a
17 anni, dopo aver imparato l'armonica a bocca da
autodidatta
e la chitarra con l'aiuto di un certo Celestino (un falegname di Porretta
improvvisatosi liutaio per cinquemila lire), Francesco mette su il suo primo
"complesso": «Pier Farri, che era il più ricco, scelse la batteria; io, che ero
il più povero, mi gettai sulla chitarra. Victor Sogliani disse che avrebbe
suonato il sassofono, Pierino il contrabbasso e in più c'erano altre due
chitarre, tanto per esagerare. [...] Guardavo i film di Elvis Presley e, come
facevano in molti, mi mettevo davanti allo specchio e cercavo di imitarne le
movenze. Cominciai a non separarmi più dalla chitarra perché la differenza tra
un Guccini con chitarra e un Guccini senza chitarra era evidente: il secondo non
aveva nessuna possibilità di avere delle ragazze.» [p. 32]. Nascevano così gli "Hurricanes",
poi "Snakers".
A soli 19 anni (è il 1959) e con il diploma in tasca, Guccini trova lavoro come
istitutore in un collegio di Pesaro, ma si tratta di un'esperienza breve e
deludente: viene infatti licenziato dopo appena un mese e mezzo. Non vanno
meglio i contemporanei
studi universitari; il primo anno, con il passaggio da Modena a Bologna,
è infatti un fallimento: un solo esame sostenuto. «Non sapevo nemmeno da dove si
cominciasse per preparare un esame. Fu solo dopo il militare [...] che la mia
vita universitaria assunse un senso. E fu lì, durante il militare, che scoprii
Borges e Umberto Eco. [...] Ed è sempre lì che conobbi il persiano, ovvero Omar
Al Khayyam, un poeta del 1300 di cui parla spesso Borges.» [p. 27].
Un passo indietro: di ritorno da Pesaro, «dopo l'infelice esperienza come
istitutore e prima della naia» [p. 35], Guccini lavora per due anni per la "Gazzetta
dell'Emilia", con uno stipendio di ventimila lire al mese per un impegno in
redazione di quasi dodici ore al giorno. Un periodo faticoso ma ispiratore, che
Francesco ricorda con gioia e a cui mise termine per una questione di principio:
«lasciai la Gazzetta quando, dopo due settimane di vacanza, scoprii che non me
le avevano conteggiate sulla busta paga. Andai dall'economo per chiedere
spiegazioni. E lui disse: 'Niente lavoro, niente paga'. Incontrai Alfio
dell'Equipe 84, che stava cercando un chitarrista cantante. Decisi di saltare il
fosso. Per fortuna.» [p. 35]. Con Alfio ed altri musicisti - tra cui Victor
Sogliani - Guccini forma una band: si chiamerà, dapprima, "Marinos" (dal nome di
uno dei membri, il pianista Marino Salardini) e poi "Gatti". Suonano
tutta l'estate del 1961 alle terme di Sassuolo e nell'inverno vengono ingaggiati
perfino in Svizzera, vicino a Basilea. I Gatti «per quell'occasione furono
ribattezzati e diventarono "I Fusti all'italiana". Una piccola concessione ai
nostri connazionali all'estero. Fu quella l'unica volta in cui cambiammo nome al
complesso. Ci pagarono un'esagerazione: dodicimila lire a testa, una cifra da
ultimo dell'anno.» [p. 42].
Proprio nel 1961 Francesco si trasferisce con la famiglia a Bologna, in
Via Massarenti, «a due passi da Via Paolo Fabbri» [p. 44]. L'anno dopo parte per
il
militare, con tappe a Lecce, Roma e Trieste. Si tratta di un'esperienza
positiva per Francesco, il quale, prima di partire, aveva scritto «un po' per
pudore un po' per vergogna» [p. 51], "L'antisociale", "La ballata degli
annegati" e "Venerdì santo", canzoni che egli stesso definisce "tentativi".
Nella sua maturazione musicale e artistica, al ritorno dal militare, risultano
decisive alcune «diete musicali. Importante fu il Cantacronache di Fausto
Amodei, Sergio Liberovici e Michele Straniero, che mi introdusse nel mondo delle
canzoni popolari e anarchiche» [p. 51].
Forte di questo "incontro", Francesco riprende le sue esibizioni con un gruppo
di cui fa parte anche il poeta Adriano Spatola. E intanto riprende a frequentare
l'università. "Fingendo di studiare, con delle amiche che fingevano di studiare
anche loro" all'Osteria dei Poeti, sfondo de L'ubriaco. Con vecchi e
nuovi amici il ritrovo preferito è proprio quell'osteria, senza dimenticare lo
storico bar "Grande Italia" e "La Grondaia".
Bisogna aspettare il 1963 per il secondo esame universitario:
Storia
medievale. «Il docente era il fratello di Romano Prodi, l'ex Presidente del
Consiglio. Guardò il libretto e vide che l'esame precedente era Filologia
romanza, anno 1959. E prima di darmi 28, sorrise ironicamente e disse, riferito
al lasso di tempo tra i due esami: 'Vedo che l'ha preparato bene...'. Poi, altri
due esami a giugno» [p. 56]. Alla fine dei giochi, pur dando tutti gli esami,
non presenterà mai la tesi di laurea.
Dal 1965, tuttavia, grazie all'interessamento del suo professore d'inglese -
Rizzardi - viene assunto al Dickinson College, sede distaccata di Bologna
dell'Università della Pennsylvania. Lascerà tale incarico (ricoperto in realtà
per il solo mese di settembre) vent'anni più tardi. Così "il maestrone" ricorda
quell'esperienza: «Gli inizi furono bellissimi. A parte la sensazione
elettrizzante che dà il poter insegnare, c'era anche un altro aspetto da non
sottovalutare: io e gli studenti eravamo quasi coetanei. 25 anni io, una ventina
loro. Con il passare degli anni, le cose cambiarono sempre di più e il
divertimento diminuì. Nel 1985 lasciai.» [p. 57].
Sotto l'influenza di Bob Dylan, Guccini scrive altri tre pezzi: è il 1964 e
nascono
Auschwitz,
È dall'amore che nasce l'uomo e
Noi non ci saremo. Non iscritto
alla SIAE, questi ed i precedenti testi vengono sistematicamente depositati da
altri autori: emblematico è il caso di Auschwitz, depositata da Maurizio
Vandelli e Iller Pattacini (in arte Lunero), e solo da pochi anni tornata in
possesso del vero autore.
La brutta esperienza con l'Equipe induce Guccini ad iscriversi alla SIAE:
Dio è morto è così la prima canzone a comparire con la sua firma.
Interpretata dai Nomadi, viene censurata dalla Rai ma ottiene «l'assenso della
Radio Vaticana e dello stesso Paolo VI, che definisce il testo un lodevole
esempio di esortazione alla pace e al ritorno a giusti e sani principi morali.»
[p. 63].
Il successo di Dio è morto procura a Guccini un contratto editoriale in
esclusiva con la
Emi-Voce del Padrone, con un compenso iniziale di ottantamila lire,
presto aumentato a cento e quindi a duecento. Propio per la Emi incide il suo
primo 33 giri,
Folk beat N.1 ed all'ultimo momento viene inclusa nel
disco
In morte di S.F. (nota anche con il titolo Canzone per un'amica),
composta in quei giorni in memoria di un'amica morta in un incidente stradale.
Nonostante il balbettante risultato delle vendite, grazie a
Caterina Caselli e Giorgio Gaber, Guccini fa il suo esordio in TV
cantando
Auschwitz: è il 5 maggio 1967. Dopo aver registrato un 45 giri ed il suo
secondo album (Due anni dopo), nel gennaio del 1970 Francesco parte per
gli
Stati Uniti, forte della curiosità di vedere quel paese che aveva
conosciuto attraverso i libri ma, soprattutto, per raggiungere Eloise Dunn, una
sua allieva al Dickinson College con la quale aveva intrecciato una relazione
sentimentale (parallela alla "relazione universitaria" con Roberta).
Il viaggio è una vera e propria delusione: degli americani in genere lo
infastidiscono certi approcci linguistici che rasentano l'ineducazione; coi
familiari di Eloise (con la madre, soprattutto) entra ben presto in aperto
conflitto. Insomma: «l'America era meglio immaginarla che vederla» [p. 71],
pensa Guccini. E torna a casa. Da quella esperienza nasce
L'orizzonte di K.D., «dove K.D. sono le iniziali di Karen Dunn, sorella
di Eloise. Karen, in realtà, non c'entrava niente. Per pudore o per orgoglio non
volli indirizzare la canzone a Eloise, o meglio la indirizzai a lei fingendo di
parlare a un'altra. Mi feci inoltre crescere la barba lunga e i capelli ancora
più lunghi. [...] Di quei tempi mi resta la barba. Non l'ho più fatta, da
allora» [p. 72].
Appena rientrato, si trasferisce in Via Paolo Fabbri 43 con la futura
moglie Roberta. Nell'ottobre del 1970 esce
L'isola non trovata, alla cui
registrazione collaborano come musicisti Vince Tempera, Ares Tavolazzi ed Ellade
Bandini, ovvero il nucleo originario di quello che ancor oggi è il gruppo di
Francesco. Nell'album, pieno di riferimenti letterari (da Gozzano a Salinger),
viene inclusa anche
Un altro giorno è andato, pubblicata originariamente come singolo. Il
1972 è invece l'anno del quarto album (Radici), quello della
consacrazione. Memorabile e suggestiva resta senza dubbio
La locomotiva,
composta in mezz'ora ed ispirata da un fatto realmente accaduto: era il 20
luglio del 1893 quando l’anarchico Pietro Rigosi – macchinista – mandò a
schiantare una locomotiva contro una vettura in sosta nei pressi della stazione
di Bologna. L'enorme fama di questa canzone non oscura peraltro la bellezza di
altri brani: da
La canzone dei dodici mesi a Piccola città, da
Incontro a
Il vecchio e il bambino.
Dopo l'intermezzo "comico-giullaresco" di
Opera buffa (1973), che Guccini
oggi liquida come «un disco inventato e da me non voluto» [p. 84], nel 1974 esce
Stanze di vita quotidiana
che
Francesco, anche per situazioni verificatesi in fase di registrazione,
classifica come «il disco che più ho odiato nella mia vita» [p. 87], nonostante
contenga capolavori assoluti quali
Canzone delle osterie di fuori porta e
Canzone per Piero. Proprio
Stanze di vita quotidiana ricevette un duro j'accuse sulle pagine di
"Gong" firmato da
Riccardo Bertoncelli, lungimirante nel liquidare Guccini con un secco "è
un artista finito, a cui non resta più nulla da dire".
Ben altra considerazione, da parte dello stesso cantautore, va al successivo
Via Paolo Fabbri 43 (1976), «bello ed entusiasmante, ancora oggi mi
piace moltissimo» [p. 89]. La trama della canzone che dà il titolo all'album è
tessuta su citazioni della vita quotidiana dello stesso Guccini e impreziosita
dal riferimento a personaggi fondamentali della cultura contemporanea (da Borges
a Barthes). Vi sono inoltre citate «tre eroine della canzone italiana: due
evidenti (Alice e Marinella), una più nascosta (la piccola infelice, cioè
Lilly). Frecciatine rivolte a De Gregori, De André, Venditti. Mi sembrava
avessero accettato più facilmente di me anche gli aspetti negativi di questo
mestiere. Io ho impiegato più tempo. Infatti i miei eroi eran poveri e si
chiedevano troppi perché» [p. 95]. Si tratta di una canzone vera, sentita, a cui
Francesco è ovviamente legato; come è legato - per sua esplicita ammissione - a
L'avvelenata ("tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un
pio, un teorete, un Bertoncelli, un prete, a sparare cazzate) e a
Il pensionato.
Amerigo, pubblicato nel 1978, è già il suo ottavo album. Della canzone
omonima, dedicata ad Enrico, un suo prozio emigrato in America e morto nel 1963,
Guccini afferma, enfaticamente ma con sincerità, che «è la più bella, completa,
finita, ricca di cose e forse una delle più belle che io abbia mai scritto» [p.
101], un confronto-contrasto tra l'America reale di "Amerigo" (fatta di lavoro e
fatica, di giorni duri e difficili, di sudore e antracite) e quella di
Francesco, «sognata a Pàvana dal mulino e da bambino» [p. 101]: due «immagini
che non si sovrappongono se non nel finale, quando capisco che quell'uomo era il
mio volto, era il mio specchio. Amerigo ero io» [p. 101].
Nello stesso anno, dall'unione con la nuova compagna, Angela, nasce la prima ed
unica figlia di Guccini: la Teresa cantata in
Culodritto ed
E un
giorno. Non prima di
Album concerto, il live realizzato con i
Nomadi nel 1979, nel 1981 esce Metropolis, disco non troppo amato
dall'autore, eppure molto denso e al tempo stesso sognante.
Due anni più tardi tocca a Guccini, l'undicesimo. Fra le sei canzoni che
compongono l'album, Autogrill è definita dallo stesso autore come
quella «più misteriosa in assoluto [...], intravista e non vissuta, venuta fuori
chissà come. Nacque a Pàvana ed è il resoconto di ciò che non fu mai, ovvero un
sogno mai avverato» [p. 119]. Sull'album stesso, dice:
«Guccini
è per me l'impossibilità di viaggiare. Puoi raggiungere ogni parte del mondo in
poche ore ma sei sempre condannato a essere turista. Per viaggiare e al tempo
stesso vivere bisognerebbe avere sei o sette vite» [p. 120]. Nel 1984 Francesco
partecipa al grande concerto di Piazza Maggiore, a Bologna, cui prendono
parte altri artisti, dai Nomadi a Paolo Conte, da Giorgio Gaber all'Equipe 84.
«Parte di quel concerto finì su
Fra la Via Emilia e il West. Due volumi
recentemente stampati anche su CD» [p. 123].
Dopo tre anni fuori dai riflettori, esce nel 1987
Signora Bovary: è
l'album di Culodritto e
Van Loon dedicate, rispettivamente, alla
figlia ed al padre scomparso. Solo un anno dopo uscirà
...quasi come Dumas...,
occasione per rispolverare vecchie canzoni.
Personaggio eclettico e poliedrico, Guccini chiude gli anni ottanta (è il 1989)
affacciandosi anche al mondo dell'editoria: pubblica presso Feltrinelli
Cròniche epafàniche cui seguirà nel 1993, quale suo «seguito naturale»
[p. 127], Vacca d'un cane, edito ancora da Feltrinelli.
Il 1990 (anno d'uscita di Quello che non...) regala agli appassionati di
musica veri capolavori. «Battezzai gli anni '90 con la negazione di
Quello che non.... Una negazione che tutti hanno definito montaliana e che
invece è, più semplicemente, lo sfogo di uno che scopre di vivere con una
persona che non lo considera più molto. Nel brano che dà il titolo all'album, la
coppia non esiste, è dissolta, sparita, non è più niente. L'io narrante si
rivolge a un'interlocutrice, come spesso accade nelle mie canzoni. La
dissoluzione del rapporto emerge da una serie di immagini secche che, in
apparenza, non hanno molto a che fare con il rapporto di coppia e che si
sovrappongono l'una all'altra. Era un momento mio di grandi incertezze.
Nonostante si trattasse di una questione privata, sotto c'era anche, per vie
oblique, tutto il malessere delle sinistre, in evidente crisi d'identità. Credo
che entrambi i disamori si siano influenzati a vicenda» [p. 129]. Il secondo
brano,
Canzone delle domande consuete, viene premiata dal Club Tenco di
Sanremo come "canzone dell'anno".
Bisognerà aspettare altri quattro anni per ascoltare un nuovo LP del
"maestrone":
solo
nel 1994, infatti, esce
Parnassius Guccinii, disco «un po' ruvido»
[p. 135] a detta dello stesso cantautore che ne spiega anche l'origine del
titolo: «nel 1993 arriva la farfalla. O meglio, la farfalla arriva molto prima,
ma solo in quell'anno viene accostata al mio nome. Giovanni Sala, un entomologo
dilettante, scoprì una nuova farfalla nell'appennino tosco-emiliano e decise di
chiamarla Parnassius Mnemosyne Guccinii in mio onore e per gratitudine, essendo
abituale consumatore dei miei dischi e della mia musica. Questa cosa mi fece
molto piacere, un po' perché la farfalla in questione era una sorta di
lepidottero robusto e montanaro, non quindi una di quelle farfalle bellissime e
un po' fighette che si vedono in giro; un po' perché mi gratificava l'idea di
aver dato un nome a qualcosa che sarebbe durata per sempre. Non so, infatti, se
la mia musica abbia questa facoltà» [p. 135]. Il disco si apre con
Canzone per Silvia, Silvia Baraldini, «la cui storia,
indipendentemente dalle idee politiche e dal giudizio di colpa, deve far
riflettere chiunque abbia a cuore i diritti umani» [p. 135]. Il 1996 è invece
l'anno di
D'amore di morte e di altre sciocchezze, nel quale, oltre a
Cirano e
Quattro stracci, salta all'orecchio
Lettera, un
brano dedicato a due amici scomparsi: Bonvi e Victor Sogliani.
Passano dodici mesi e Francesco fa il suo esordio nella letteratura noir, segno
di una continua sperimentazione: esce Macaronì, un giallo scritto
a quattro mani con
Loriano Macchiavelli e subito tradotto in tedesco e in francese.
Nel 1998, per celebrare i trent'anni di attività, la Emi pubblica raccolte di
artisti della sua etichetta: in questo contesto vede la luce il doppio album
Guccini live collection, che non è opera del cantautore, il quale
precisa: «non ho seguito tutte le fasi di lavorazione, ho semplicemente dato il
mio assenso alla Emi affinché lo pubblicasse. La prova che io non c'entro è data
da quel terribile errore ortografico in copertina: nel titolo "Un'altro giorno è
andato", "un altro" è scritto con l'apostrofo. Mi sono indignato assai. [...]
Tutto, dalla grafica alla copertina alla scelta delle canzoni, è stato fatto con
il mio assenso, ma senza di me» [p. 140].
Non pago del successo di Macaronì, sempre nel 1998 e sempre in
collaborazione con Macchiavelli, pubblica
Un disco dei Platters e dà inoltre alle stampe il suo atteso
Dizionario del dialetto di Pàvana (Nuèter, Pavana).
Dopo I giorni cantati (1979) e Musica per vecchi animali (1989),
Guccini torna a calcare le scene di Hollywood: convinto dall'amico Luciano
Ligabue partecipa al film
Radio Freccia, nella parte di «un barista scoglionato, burbero ma buono»
[p. 147].
Il 2000 è l'anno del ritorno alla musica: esce
Stagioni, che da
Paolo Jachia, forse il più attento guccinologo in circolazione, è stato definito
«una summa delle tematiche che accompagnano tutta la produzione artistica e
intellettuale di Francesco: l'esistenzialismo, la polemica contro tutte le
ingiustizie e i falsi ideali, il vivere giornaliero e lo scorrere inesorabile
del tempo, la rabbia e l'indignazione per la propria impotenza a cambiare le
cose e la vita, e poi l'amore, visto come specchio di se stessi, delle proprie
belle illusioni e anche delle proprie fragilità, e ancora la fantasia e l'ironia
e l'umorismo come baluardo contro l'inutile follia realista degli uomini
integrati al potere, e poi la coerenza con la propria storia e le proprie
radici, la coscienza dell'appartenere, in senso profondo, alla terra e al
popolo, e il rifiuto della cultura piccolo borghese e l'adesione profonda al
grande sogno anarchico, libertario, democratico, comunista (l'Utopia)» [P.
Jachia: Francesco Guccini, Editori Riuniti, Roma 2002, p. 183].
Altre due fatiche letterarie a quattro mani con Loriano Macchiavelli (Questo
sangue che impasta la terra e Lo spirito e altri briganti) ed una
raccontando la Bologna di quarant'anni fa in
Cittanòva Blues, precedono l'ultimo album in ordine cronologico
di Francesco Guccini:
Ritratti. Un album musicale, lirico e coinvolgente come pochi
altri. Solo un anno più tardi la EMI sceglie di pubblicare il live
Anfiteatro,
in edizione CD e DVD, registrato nella splendida cornice dell'Anfiteatro di
Cagliari. Sempre la EMI, per festeggiare i 40 anni d'attività discografica di
Guccini, dopo Folk beat n.1 del 1966, fa uscire una corposa raccolta gucciniana:
The Platinum Collection, 234 minuti di musica che è anche un pezzo di
storia orale.
Con la musica in bottega, nel marzo 2010 esce la prima autobiografia, "Non so
che viso avesse". La bibliografia di Francesco si arricchisce poi con "Malastagione"
- di nuovo opera a quattro mani con Loriano Machiavelli - e in ultimo (siamo nel
2012) con il "Dizionario delle cose perdute". Mentre molti si chiedevano quale sarebbe
stato l'anno buono per il successivo album d'inediti di Francesco, dimenticando che Pàvana impone i suoi ritmi,
un lunedì di novembre del 2012 esce
L'ultima Thule. Pochi giorni
più tardi Guccini dirà che L'ultima Thule chiude la propria discografia,
e con questa la stagione dei concerti
(«al 99%» perché
«è meglio finire in silenzio, tranquilli», secondo le istruzioni di
un'intelligenza pavànese). Un saluto alla musica, questo, definitivo:
eppure non sarà Francesco a decidere quando finirà la sua stagione. Negando e
parafrasando l'ultima strofa, dell'ultima canzone, dell'ultimo album di
Francesco Guccini "non si perderà in un'ultima canzone di lui e della sua
nave anche il ricordo".
Nota: il numero di pagina che segue ogni virgolettato è riferito al libro "Un
altro giorno è andato"
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