Esecuzioni musicali: Ellade Bandini
(batteria e percussioni), Juan Carlos «Flaco» Biondini
(chitarre e seconda voce in Luna Fortuna), Lele Chiodi
(seconda voce in Acque), Gianni Coscia (fisarmonica), Lucio
Fabbri (violino), Roberto Manuzzi (sax baritono, sax
contralto, armonica), Antonio Marangolo (sax tenore, sax
soprano), Ares Tavolazzi (contrabbasso, basso), Vince
Tempera (piano, tastiere e organo Hammond). Arrangiamenti
collettivi. Programmazione tastiere: Piero Cairo. Invenzioni
sonore: Vince Tempera. Registrato e mixato alla Cetra Art
Recording di Milano da Ezio De Rosa con l'assistenza di
Alberto Boi. Copertina: Raffaella Cavalieri. Foto di
copertina: Raffaella Cavalieri, Gabriele Guerra.
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Canzone per Silvia
Il cielo dell' America son mille cieli sopra a un
continente,
il cielo della Florida è uno straccio che è bagnato di
celeste,
ma il cielo là in prigione non è cielo, è un qualche cosa
che riveste
il giorno e il giorno dopo e un altro ancora sempre dello
stesso niente.
E fuori c'è una strada all' infinito, lunga come la
speranza,
e attorno c'è un villaggio sfilacciato, motel, chiese, case,
aiuole,
paludi dove un tempo ormai lontano dominava il Seminole,
ma attorno alla prigione c'è un deserto dove spesso il vento
danza.
Son tanti gli anni fatti e tanti in più che sono ancora da
passare,
in giorni e giorni e giorni che fan mesi che fan anni ed
anni amari;
a Silvia là in prigione cosa resta? Non le resta che
guardare
l' America negli occhi, sorridendo coi suoi limpidi occhi
chiari...
Già, l' America è grandiosa ed è potente, tutto e niente, il
bene e il male,
città coi grattacieli e con gli slum e nostalgia di un
grande ieri,
tecnologia avanzata e all' orizzonte l' orizzonte dei
pionieri,
ma a volte l' orizzonte ha solamente una prigione federale.
L' America è una statua che ti accoglie e simboleggia,
bianca e pura,
la libertà, e dall' alto fiera abbraccia tutta quanta la
nazione,
per Silvia questa statua simboleggia solamente la prigione
perchè di questa piccola italiana ora l' America ha paura.
Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per
cambiare,
paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e
spera.
Nazione di bigotti! Ora vi chiedo di lasciarla ritornare
perchè non è possibile rinchiudere le idee in una galera...
Il cielo dell' America son mille cieli sopra a un
continente,
ma il cielo là rinchiusi non esiste, è solo un dubbio o un'
intuizione;
mi chiedo se ci sono idee per cui valga restare là in
prigione
e Silvia non ha ucciso mai nessuno e non ha mai rubato
niente.
Mi chiedo cosa pensi alla mattina nel trovarsi il sole
accanto
o come fa a scacciare fra quei muri la sua grande nostalgia
o quando un acquazzone all' improvviso spezza la monotonia,
mi chiedo cosa faccia adesso Silvia mentre io qui piano la
canto...
Mi chiedo ma non riesco a immaginarlo: penso a questa donna
forte
che ancora lotta e spera perchè sa che adesso non sarà più
sola.
La vedo con la sua maglietta addosso con su scritte le
parole
"che sempre l' ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a
morte",
"che sempre l' ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a
morte",
"che sempre l' ignoranza fa paura... ed il silenzio è uguale
a morte"...
(torna su)
Acque
L' acqua che passa fra il fango di certi canali
tra ratti sapienti e pneumatici e ruggine e vetri
chissà se è la stessa lucente di sole o fanali
che guardo oleosa passare rinchiusa in tre metri.
Si può stare ore a cercare se c'è in qualche fosso
quell' acqua bevuta di sete o che lava te stesso
o se c'è nel suo correre un segno od un suo filo rosso
che leghi un qualcosa a qualcosa, un pensiero a un riflesso.
Ma l' acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me,
o di quest' aria bassa,
ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e
non gliene frega niente...
E cade su me che la prendo e la sento filtrare,
leggera infeltrisce i vestiti e intristisce i giardini,
portandomi odore d' ozono, giocando a danzare,
proietta ricordi sfiniti di vecchi bambini,
colpendo implacabile il tetto di lunghi vagoni,
destando annoiato interesse negli occhi di un gatto,
coprendo col proprio scrosciare lo spacco dei tuoni
che restano appesi un momento nel cielo distratto.
E l' acqua passa e gira e colora e poi stinge, cos'è che mi
respinge e che m' attira;
acqua come sudore, acqua fetida e chiara, amara senza gusto
né colore.
Ma l' acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me,
o di quest' aria bassa,
ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e
non gliene frega niente...
E mormora e urla, sussurra, ti parla, ti schianta,
evapora in nuvole cupe rigonfie di nero
e cade e rimbalza e si muta in persona od in pianta
diventa di terra, di vento, di sangue e pensiero.
Ma a volte vorresti mangiarla o sentirtici dentro,
un sasso che l' apre, che affonda, sparisce e non sente,
vorresti scavarla, afferrarla, lo senti che è il centro
di questo ingranaggio continuo, confuso e vivente.
Acque del mondo intorno di pozzanghere e pianto, di me che
canto al limite del giorno,
tra il buio e la paura del tempo e del destino freddo
assassino della notte scura.
Ma l' acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me,
o di quest' aria bassa,
ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e
non gliene frega niente...
(torna su)
Samantha
Samantha scende le scale di un policentro attrezzato
comunale,
trent'anni e poi l' appartamento sarà suo, o meglio,
dei suoi genitori che ogni mese devono strappare il mutuo da
uno stipendio da fame,
ma Milano è tanto grande da impazzire
e il sole incerto becca di sguincio, in questa domenica d'
aprile,
ogni pietra, ogni portone ed ogni altro ammennicolo
urbanistico,
ma Samantha saltella, non sa d' avere lunghe gambe da cervo
e il seno, come si dice, in fiore, teso, sopra a un corpo
ancora acerbo
e Samantha, Samantha ancora non sa d' avere un destino da
modella
e corre allegra lungo i graffiti osceni delle scale quasi
donna, quasi bella.
E fuori: Milano muore di malinconia, di sole che tramonta là
in periferia,
di auto del ritorno, famiglie, freni e gas di scarico.
Lontano il centro è quasi un altro mondo, San Siro un urlo
che non cogli a fondo,
ti taglia un senso vago di infinito panico.
Spunta un gasometro dietro a muri neri, oziosi vagolano i
tuoi pensieri
e in aria il cielo è un qualche cosa viola carico...
Andrea è giù nel cortile, jeans regolari e faccia da vinile,
giacca a vento come dio comanda e legata al polso la
bandana, un piede contro al muro e lì
l' aspetta perché vuol parlarle, niente, forse d' amore, ma
non sa che dire,
con le parole quasi lombarde che non sanno uscire
e si accende rabbioso una Marlboro di alibi
e si guardano di sbieco, appena un cenno istintivo di
saluto,
ma a Samantha batte il cuore da morire mentre Andrea rimane
muto;
e lei ritornerà con le MS per suo padre steso davanti a
qualche canale
e lui mediterà al bar dietro a una birra che la vita può far
male...
E Milano sembra che sia li a abbracciarsi quei due che non
sapranno più parlarsi,
solo sfiorarsi in un momento vago e via.
Samantha presto cambierà quartiere per un destino che non sa
vedere,
e Andrea diventerà padrone d' una pizzeria.
Ed io, burattinaio di parole, perché mi perdo dietro a un
primo sole,
perché mi prende questa assurda nostalgia?
(torna su)
Farewell
E sorridevi e sapevi
sorridere coi tuoi vent' anni portati così,
come si porta un maglione sformato su un paio di jeans;
come si sente la voglia di vivere
che scoppia un giorno e non spieghi il perchè:
un pensiero cullato o un amore che è nato e non sai che cos'è.
Giorni lunghi fra ieri e domani, giorni strani,
giorni a chiedersi tutto cos' era, vedersi ogni sera;
ogni sera passare su a prenderti con quel mio buffo montone orientale,
ogni sera là, a passo di danza, a salire le scale
e sentire i tuoi passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore,
quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore.
Poi giù al bar dove ci si ritrova, nostra alcova,
era tanto potere parlarci, giocare a guardarci,
tra gli amici che ridono e suonano attorno ai tavoli pieni di vino,
religione del tirare tardi e aspettare mattino;
e una notte lasciasti portarti via, solo la nebbia e noi due in
sentinella,
la città addormentata non era mai stata così tanto bella.
Era facile vivere allora ogni ora,
chitarre e lampi di storie fugaci, di amori rapaci,
e ogni notte inventarsi una fantasia da bravi figli dell' epoca nuova,
ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova.
Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa più in fondo,
ci sembrava d' avere trovato la chiave segreta del mondo.
Non fu facile volersi bene, restare assieme
o pensare d' avere un domani e stare lontani;
tutti e due a immaginarsi: "Con chi sarà?" In ogni cosa un pensiero
costante,
un ricordo lucente e durissimo come il diamante
e a ogni passo lasciare portarci via da un' emozione non piena, non
colta:
rivedersi era come rinascere ancora una volta.
Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione,
e il peccato fu creder speciale una storia normale.
Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo,
sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo.
E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni
impresa;
siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa.
"The triangle tingles and the trumpet plays slow"...
Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d'
estate
con qualcosa di fragile come le storie passate:
forse un tempo poteva commuoverti, ma ora è inutile credo, perchè
ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me...
(torna su)
Nostra signora dell'ipocrisia
Alla fine della baldoria c'era nell' aria un silenzio
strano,
qualcuno ragliava con meno boria e qualcun altro grugniva
piano;
alle sfilate degli stilisti si trasgrediva con meno allegria
ed in quei visi sazi e stravisti pulsava un' ombra di
malattia.
Un artigiano di scoop forzati scrisse che Weimar già si
scorgeva
e fra biscotti sponsorizzati videro un anchorman che
piangeva
e poi la nebbia discese a banchi ed il barometro segnò
tempesta,
ci risvegliammo più vecchi e stanchi, amaro in bocca,
cerchio alla testa...
Il mercoledì delle Ceneri ci confessarono bene o male
che la festa era ormai finita e ormai lontano il carnevale
e proclamarono penitenza e in giro andarono col cilicio
ruttando austeri: "Ci vuol pazienza! Siempre adelante ma con
juicio!"
E fecero voti con faccia scaltra a Nostra Signora dell'
Ipocrisia
perchè una mano lavasse l' altra, tutti colpevoli e così
sia!
E minacciosi ed un po' pregando, incenso sparsero al loro
Dio,
sempre accusando, sempre cercando il responsabile, non certo
io...
La domenica di Mezza Quaresima fu processione di etere di
Stato
dai puttanieri a diversi pollici dai furbi del " chi ha dato
ha dato "
ed echeggiarono tutte le sere, come rintocchi schioccanti a
morto,
amen, mea culpa e miserere, ma neanche un cane che sia
risorto
e i cavalieri di tigri a ore e i trombettieri senza ritegno
inamidarono un nuovo pudore, misero a lucido un nuovo
sdegno:
si andò alle prime con casto lusso e i quiz pagarono sobri
milioni
e in pubblico si linciò il riflusso per farci ridiventare
buoni...
Così domenica dopo domenica fu una stagione davvero cupa,
quel lungo mese della quaresima, rise la iena, ululò la
lupa,
stelle comete ed altri prodigi facilitarono le conversioni,
mulini bianchi tornaron grigi, candidi agnelli certi
ex-leoni.
Soltanto i pochi che si incazzarono dissero che era l' usato
passo
fatto dai soliti che ci marciavano per poi rimetterlo sempre
là, in basso!
Poi tutto tacque, vinse ragione, si placò il cielo, si posò
il mare,
solo qualcuno in resurrezione, piano, in silenzio, tornò a
pensare...
(torna su)
Dovevo fare del cinema
Certo, ha ragione il signore se dice che siamo in un film
dell' ultimo periodo,
dove i banditi pentiti confessano se non li processano
e così fra le macchie di sangue la vita è la solita
e fa "audience" se in più c'è la scena del killer che
vomita.
Sa com'è? E' bello fare del cinema
anche se, lì da imputato, c'è qualcuno che crede di esser
nel cinema muto,
è bello fare del cinema,
ma piuttosto che sparare siam rimasti nascosti a guardare.
A guardare cos'è che ci aspetta alla fine del tunnel,
dei riflussi riflessi su certi pacchetti di Camel,
quando tutto è soltanto un riassunto di modi di dire,
quattro quarti di noia disposta comunque a finire;
l' inflazione però non finisce e ci rende cattivi,
non c'è niente che valga la pena e così siamo vivi.
Ma che cos'è che ci fa fare del cinema?
Forse questa depressione o l' istinto di conservazione.
Noi, si va a fare del cinema,
quando vivere è un problema rifacciamo da capo la scena...
Sì, devo dire che ha proprio ragione il signore,
c'è una crisi tremenda che investe l' intero settore;
è che il pubblico vuole si parli più semplicemente,
così chiari e precisi e banali da non dire niente.
Per capire la storia non serve un discorso più grande:
signorina cultura si spogli e dia qui le mutande.
Sa com'è, lei, deve fare del cinema,
mica roba pervertita, ma un soggetto che serva alla vita;
facciamo tutti del cinema,
ma piuttosto che parlare si rimanga nascosti a pensare...
Ma il gestore di un piccolo cine di periferia
mi diceva che è tutta la vita che aspetta un' idea,
un' idea piccolina che verso il finale si evolve
nella madre di tutte le storie, l' idea che risolve;
quel soggetto che senti nell' aria e potrebbe arrivare
proprio quando hai già chiuso il locale e cambiato mestiere:
sa com'è, è bello fare del cinema,
tanto, sa, facciamo tutti del cinema...
(torna su)
Non bisognerebbe
Non bisognerebbe mai ritornare:
perché calcare i tuoi vecchi passi,
calciare gli stessi sassi,
su strade che ti han visto già a occhi bassi?
Non troverai quell' ombra che eri tu
e non avrai quell' ora in più
che hai dissipato e che ora cerchi;
si scioglierà impossibile il pensiero
a rimestare il falso e il vero
in improbabili universi.
Eppure come un cane che alza il muso e annusa l' aria
batti sempre la tua pista solitaria
e faccia dopo faccia e ancora traccia dopo traccia
torni dove niente ti aprirà le braccia...
E rimpiangere, rimpiangere mai.
Come piovigginano le vecchie cose:
perchè fra i libri schiacciare rose
di risa paghe e piene delle spose?
E buttar via un' incognita e uno scopo,
trascurare il giorno dopo
come se chiudesse sempre;
studiar la stessa pagina di storia
conosciuta già a memoria,
date e luoghi impressi a mente.
Ma gocciola da sempre sul bagnato, tesoriere dei tuoi
giorni,
di chi ha preso e di chi ha dato.
E ora dopo ora e dopo un attimo ed ancora
la poetica consueta è "dell' allora"...
Primo, non ricordare,
perchè i ricordi sono falsati,
i metri e i cambi sono mutati
per la spietata legge dei mercati.
E' come equilibrarsi sugli specchi,
ad ogni occhiata un po' più vecchi,
opachi, muti e deformanti.
Frugare dentro ai soliti cassetti
dove non c'è quel che ci metti
e mai le cose più importanti.
E invece come tutti sempre lì a portarli addosso, a
ricercare
quel sottile straccio rosso
che lega il tempo assente ed il presente e nella mente,
tutto questo poi ci si confonderà,
tutto questo poi ci si...
Non bisognerebbe mai ricordare...
(torna su)
Luna fortuna
Notte calda come tante vicino al fiume che canta,
aria piena del barlume di un lume fioco in distanza
e di lucciole sfuggenti con cui la notte si ammanta.
E si ammanta di fantasmi o di un ricordo lontano,
mentre al buio della notte che mi trascina per mano
cerco i segni delle piante che mi circondano piano.
Piano, all' ombra della notte, mi sembri fatta di fumo,
sento appena il tuo calore ed il tuo strano profumo
con l' odore del tuo corpo e in questo io mi consumo.
Ma dal monte all' improvviso spunta la bianca luna
e ogni cosa in un istante schiarisce e non è più bruna:
questa luna esagerata ci procurerà fortuna.
La fortuna di un amante è un fiore d' esile stelo,
una favola inquietante, fugace e fragile velo,
il respiro di un istante che scomparirà nel cielo.
Cielo e luce all' infinito come se fosse di giorno,
mondo magico fiorito che mi risplende d' intorno,
io ti sfoglio con le dita e indovino il tuo contorno.
Il contorno del tuo corpo ora si è fatto reale,
è qualcosa bianco e vero, bello da far quasi male
e si insinua in un pensiero che all' improvviso m' assale:
contro il cielo trasformato sorride un' altra luna,
ma io so quale è la vera, l' altra non è più nessuna:
questa nuova luna piena mi procurerà fortuna...
(torna su)
Parole
Parole, son parole, e quante mai ne ho adoperate
e quante ancora lette e poi sentite,
a raffica, trasmesse, a mano tesa, sussurrate,
sputate, a tanti giri, riverite,
adatte alla mattina, messe in abito da sera,
all' osteria citabili o a Cortina e o a Marghera.
Con gioia di parole ci riempiamo le mascelle
e in aria le facciamo rimbalzare
e se le cento usate sono in fondo sempre quelle
non è importante poi comunicare,
è come l' uomo solo che fischietta dal terrore
e vuole nel silenzio udire un suono, far rumore.
Mio caro amore, si è un po' come commessi viaggiatori
con campionari di parole e umori a ritmi di trecento e più
al minuto;
amore muto, beati i letterari marinai, così sul taciturno e
cerca guai,
così inventati e pieni di coraggio...
Io non son quei marinai, parole in rima ne ho già dette
e tante, strano, ma ne faccio dire
nostalgiche, incazzate, quanto basta maledette,
ironiche quel tanto per servire
a grattarsi un po' la rogna, soffocati dal collare
adatto per i cani o per la gogna del giullare.
Poi andare sopra un palco per compenso o l' emozione:
chi non ha mai sognato di provare?
Sia chi ha capito tutto e tutto sa per professione
ed ha un orgasmo a scrivere o a fischiare,
sia quelli che ti adorano fedeli, senza intoppi,
coi santi non si scherza, abbasso il Milan, viva Coppi!
Amore sappi, beato chi ha le musiche importanti,
le orchestre, luci e viole sviolinanti, non queste mie di
fil di ferro e spago;
amore vago, mi tocca coi miei due giri costanti
fare il make-up a metonimie erranti: che gaffe proprio
all'età della ragione...
E sì son tanti gli anni, ma se guardo ancora pochi,
Voltaire non ci ha insegnato ancora niente,
è questo quel periodo in cui i ruggiti si fan fiochi
oppure si ruggisce veramente
ed io del topo sovrastrutturale me ne frego;
chi sia Voltaire, mi dite? Va beh, dopo ve lo spiego.
E se pensate questi i vaniloqui di un anziano,
lo ammetto, ma mettiamoci d' accordo
conosco gente pìa, gente che sa guardar lontano
e alla maturità dicon sia sordo
perchè i rincoglioniti d' ogni parte odian parecchio
la libertà e la chiamano "vagiti", o "ostie" d'un vecchio.
Amore a specchio, è tanto bello urlare dagli schermi,
gettare a terra falsi pachidermi coprendo ad urla il vuoto
ed il timore.
Qui sul mio onore, smetterei di giocar con le parole,
ma è un vizio antico e poi quando ci vuole per la battuta mi
farei spellare...
E le chiacchiere son tante e se ne fan continuamente,
è tanto bello dar fiato alle trombe
o il vino o robe esotiche rimbomban nella mente,
esplodono parole come bombe,
pillacchere di fango, poesie dette sulla sedia,
ghirlande di semantica e gran tango dei mass-media.
Dibattito in diretta, miti, spot, ex-cineforum,
talk-show, magazine, trend, poi T.V. e radio,
telegiornale, spazi, nuovo, gadget, pista, quorum,
dietrismo, le tangenti, rock e stadio
deviati, bombe, agenti, buco e forza del destino,
scazzato, paranoia e gran minestra dello spino.
Amore fino, lo so che in questo modo cerco guai,
ma non sopporto questi parolai, non dire più che ci son
dentro anch' io,
amore mio, se il gioco è essere furbo e intelligente
ti voglio presentare della gente e certamente presto
capirai...
Ci sono, sai, nascosti dietro a pieghe di risate
che tiran giù i palazzi dei coglioni,
più sobri e più discreti e che fan meno puttanate
di me che scrivo in rima le canzoni,
i clown senza illusione, fucilati ad ogni muro,
se stan così le cose dei buffoni sia il futuro.
Son quelli che distinguono parole da parole
e sanno sceglier fra Mercuzio e Mina,
che fanno i giocolieri fra le verità e le mode,
i Franti che sghignazzano a dottrina
e irridono ai proverbi e berceran disincantati:
"Frà Mina e Frà Mercuzio son parole, e non son frati !"
(torna su)
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