II brano Venezia non vede tra gli autori
Bruno Biggi, che sarà accreditato solo nel CD Guccini Live
Collection. Esecuzioni musicali: Tiziano Barbieri (basso),
Juan Carlos «Flaco» Biondini, Paolo Gianolio, Francesco
Guccini, Marco «Jimmy» Villotti (chitarre), Enzo Felicitati
(trombe), Giancarlo Ferri (violini), Andy J. Forest
(armonica a bocca), Deborah Kooperman (banjo), Gian Piero
Lucchini (flauti), Giovanni Pezzoli (batterie), Luciano
Stella, Vince Tempera, Fio Zanotti (tastiere). Arrangiamenti
collettivi con la supervisione di Pier Farri. Produzione e
regia: Pier Farri. Coordinamento artistico: Renzo Fantini.
Registrato nella primavera 1981 presso Umbi Studio di
Modena. Tecnici del suono: Maurizio Maggi e Franco Zorzi.
Illustrazione di copertina di Franco Lo Monaco.
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Bisanzio
Anche questa sera la luna è sorta
affogata in un colore troppo rosso e vago,
Vespero non si vede, si è offuscata,
la punta dello stilo si è spezzata.
Che oroscopo puoi trarre questa sera, Mago?
Io Filemazio, protomedico, matematico, astronomo, forse
saggio,
ridotto come un cieco a brancicare attorno,
non ho la conoscenza od il coraggio
per fare quest' oroscopo, per divinar responso,
e resto qui a aspettare che ritorni giorno
e devo dire, devo dire, che sono forse troppo vecchio per
capire,
che ho perso la mia mente in chissà quale abuso, od ozio,
ma stan mutando gli astri nelle notti d' equinozio.
O forse io, forse io, ho sottovalutato questo nuovo dio.
Lo leggo in me e nei segni che qualcosa sta cambiando,
ma è un debole presagio che non dice come e quando...
Me ne andavo l' altra sera, quasi inconsciamente,
giù al porto a Bosphoreion là dove si perde
la terra dentro al mare fino quasi al niente
e poi ritorna terra e non è più occidente:
che importa a questo mare essere azzurro o verde?
Sentivo i canti osceni degli avvinazzati,
di gente dallo sguardo pitturato e vuoto...
ippodromo, bordello e nordici soldati,
Romani e Greci urlate dove siete andati...
Sentivo bestemmiare in Alamanno e in Goto...
Città assurda, città strana di questo imperatore sposo di
puttana,
di plebi smisurate, labirinti ed empietà,
di barbari che forse sanno già la verità,
di filosofi e di eteree, sospesa tra due mondi, e tra due
ere...
Fortuna e età han deciso per un giorno non lontano,
o il fato chiederebbe che scegliesse la mia mano, ma...
Bisanzio è forse solo un simbolo insondabile,
segreto e ambiguo come questa vita,
Bisanzio è un mito che non mi è consueto,
Bisanzio è un sogno che si fa incompleto,
Bisanzio forse non è mai esistita
e ancora ignoro e un' altra notte è andata,
Lucifero è già sorto, e si alza un po' di vento,
c'è freddo sulla torre o è l' età mia malata,
confondo vita e morte e non so chi è passata...
mi copro col mantello il capo e più non sento,
e mi addormento, mi addormento, mi addormento...
(torna su)
Venezia
Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare,
la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi,
Venezia, la vende ai turisti,
che cercano in mezzo alla gente l' Europa o l' Oriente,
che guardano alzarsi alla sera il fumo - o la rabbia - di
Porto Marghera...
Stefania era bella, Stefania non stava mai male,
è morta di parto gridando in un letto sudato d' un grande
ospedale;
aveva vent' anni, un marito, e l' anello nel dito:
mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro
inciampava nei denti...
Venezia è un' albergo, San Marco è senz' altro anche il nome
di una pizzeria,
la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra.
Stefania d' estate giocava con me nelle vuote domeniche d'
ozio.
Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio.
Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare,
però non ti puoi risvegliare con l' acqua alla gola, e un
dolore a livello del mare:
il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre
c'è solo il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo la
sirena di Mestre...
Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa:
Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha
lasciato un bambino.
Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male
vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande
ospedale...
Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di
fatalità:
del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente
che se ne frega!
Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il
suo destino:
può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo
lontani parenti...
(torna su)
Antenòr
Si chiamava Antenòr e niente, si chiamava Antenòr e basta
perchè per certa gente non importa grado o casta,
importa come vivi, ma forse neanche quello,
importa se sai usare bene il laccio od il coltello...
Antenòr uscì di casa, uscì di casa quella sera,
garrivano i suoi pensieri come fossero bandiera,
ma gli occhi erano fessura e il viso tirato a brutto,
come all' età in cui credi d'aver fatto quasi tutto...
Un cavallo nitrì, ma quando? Una donna rise, ma dove?
La luna uno scudo bianco, un carro le stanghe in alto,
chitarra, ozio, parole, chitarra, ozio, parole,
la pampa un ricordo stanco, un mare quell'erba nera,
può darsi fosse romantico, ma lui non lo sapeva,
ma lui non lo sapeva, ma lui non lo sapeva...
Quella donna rideva ad ore, quella luna solo uno sputo
e per quel cavallo non avrebbe speso anche un minuto,
è difficile far rumore sulle cose che ci hai ogni giorno,
le tue braghe, il tuo sudore e l'odore che porti attorno...
La cantina era quasi vuota, scarsa d' uomini e d' allegria:
se straniero l' avresti detta quasi piena di nostalgia.
Nostalgia ma di che cosa, d' un oceano mai guardato,
di un' Europa mai sentita, d' un linguaggio mai parlato?
Antenòr chiese da bere e scambiò qualche saluto,
calmo e serio danzò tutto il rituale ormai saputo
uomo e uguale coi suoi pari quasi pari con gli anziani,
come breve quella sera, come lunghi i suoi domani.
Proprio allora qualcuno entrando nella luce da dentro al
buio
lo insultò appena sussurrando, ma sembrava che stesse
urlando
come per uno schiaffo, come per uno sputo...
Antenòr lo guardò sorpreso, lo studiò e non lo conosceva
e il motivo restò sospeso fra la gente ferma in attesa
e lui non lo sapeva, e lui non lo sapeva.
Poi sentì di una donna il nome, già scordato o non
conosciuto
quante volte per altri è vita quello che per noi è un
minuto;
guardò gli uomini per cercare occhi, dialogo, spiegazione,
ma se non trovò condanne, non trovò un'assoluzione...
Antenòr uscì di fuori bilanciando il suo coltello
per danzare malvolentieri passi e ritmi del duello:
una donna non ricordata ed un uomo mai visto prima
lo legavano tra loro come versi con la rima.
Fintò basso e scartò di lato, quanti sguardi sentì sul viso
si sentì migliore e stanco, si sentì come un sorriso
che serata tutta al contrario, proprio niente da ricordare,
puntò il ferro contro il viso, vide il sangue zampillare.
Tutto quanto era stato un lampo, Antenòr respirava forte
fece il gesto di offrir la mano, guardò l'altro e capì pian
piano
che tutto era stato invano, che l'altro cercava morte
e capì che doveva farlo, farlo in fretta perchè non c' era
un motivo per ammazzarlo, l' altro cadde e non rispondeva
e lui non lo sapeva, e lui non lo sapeva.
Antenòr lo guardò cadere, sentì dire "la colpa è mia",
sentì dire "è stato un uomo", sentì dire "fuggi via!"
La giustizia disse "bandito", ma un poeta gli avrebbe detto
che era come l' Ebreo errante, come il Batavo maledetto...
Quante volte ci è capitato di trovarci di fronte a un muro,
quante volte abbiam picchiato, quante volte subito duro,
quante cose nate per sbaglio, quanti sbagli nati per caso,
quante volte l' orizzonte non va oltre il nostro naso,
Quante volte ci sembra piana, mentre sotto gioca d'azzardo,
questa vita che ci birilla come bocce da biliardo,
questa cosa che non sappiamo, questo conto senza gli osti,
questo gioco da giocare fino in fondo a tutti i costi...
(torna su)
Bologna
Bologna è una vecchia
signora dai fianchi un po' molli
col seno sul piano padano ed il culo sui colli,
Bologna arrogante e papale, Bologna la rossa e fetale,
Bologna la grassa e l' umana già un poco Romagna e in odor di Toscana...
Bologna per me provinciale Parigi minore:
mercati all' aperto, bistrots, della "rive gauche" l' odore
con Sartre che pontificava, Baudelaire fra l' assenzio cantava
ed io, modenese volgare, a sudarmi un amore, fosse pure ancillare.
Però che Bohéme confortevole giocata fra casa e osterie
quando a ogni bicchiere rimbalzano le filosofie...
Oh quanto eravamo poetici, ma senza pudore e paura
e i vecchi "imberiaghi" sembravano la letteratura...
Oh quanto eravam tutti artistici, ma senza pudore o vergogna
cullati fra i portici cosce di mamma Bologna...
Bologna è una donna emiliana di zigomo forte,
Bologna capace d' amore, capace di morte,
che sa quel che conta e che vale, che sa dov' è il sugo del sale,
che calcola il giusto la vita e che sa stare in piedi per quanto
colpita...
Bologna è una ricca signora che fu contadina:
benessere, ville, gioielli... e salami in vetrina,
che sa che l' odor di miseria da mandare giù è cosa seria
e vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perchè sa la paura.
Lo sprechi il tuo odor di benessere però con lo strano binomio
dei morti per sogni davanti al tuo Santo Petronio
e i tuoi bolognesi, se esistono, ci sono od ormai si son persi
confusi e legati a migliaia di mondi diversi?
Oh quante parole ti cantano, cullando i cliché della gente,
cantando canzoni che è come cantare di niente...
Bologna è una strana signora, volgare matrona,
Bologna bambina per bene, Bologna "busona",
Bologna ombelico di tutto, mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto,
rimorso per quel che m' hai dato, che è quasi ricordo, e in odor di
passato...
(torna su)
Lager
Cos'è un lager?
E' una cosa nata in tempi tristi, dove dopo passano i
turisti,
occhi increduli agli orrori visti... "non gettar la pelle
del salame!"...
Cos'è un lager?
E' una cosa come un monumento e il ricordo assieme agli anni
è spento,
non ce n'è mai stati, solo in quel momento, l' uomo in fondo
è buono, meno il nazi infame!
Ma ce n'è, ma c'è chi li ha veduti o son balle di
sopravvissuti?
Illegali i testimoni muti, non si facciano nemmen parlare!
Cos'è un lager?
Sono mille e mille occhiaie vuote, sono mani magre
abbarbicate ai fili,
son baracche, uffici, orari, timbri e ruote, son routine e
risa dietro a dei fucili,
sono la paura, l' unica emozione, sono angoscia d' anni dove
il niente è tutto,
sono una pazzia ed un' allucinazione che la nostra noia
sembra quasi un rutto,
sono il lato buio della nostra mente, sono un qualche cosa
da dimenticare,
sono eternità di risa di demente, sono un manifesto che si
può firmare...
E un lager, cos'è un lager?
Il fenomeno ci fu. E' finito! Li commemoriamo, il resto è un
mito!
l'hanno confermato ieri giù al partito, chi lo afferma è un
qualunquista cane!
Cos'è un lager?
E' una cosa sporca, cosa dei padroni, cosa vergognosa di
certe nazioni,
noi ammazziamo solo per motivi buoni... quando sono buoni?
Sta a noi giudicare!
Cos'è un lager?
E' una fede certa e salverà la gente, l' utopia che un
giorno si farà presente
millenaria idea, gran purga d' occidente, chi si oppone è un
giuda e lo dovrai schiacciare!
Cos'è un lager?
Son recinti e stalli di animali strani, gambe che per anni
fan gli stessi passi,
esseri diversi, scarsamente umani, cosa fra le cose, l'
erba, i mitra, i sassi,
ironia per quella che chiamiam ragione, sbagli ammessi solo
sempre troppo dopo,
prima sventolanti giustificazioni, una causa santa, un
luminoso scopo,
sono la furiosa prassi del terrore sempre per qualcosa,
sempre per la pace,
sono un posto in cui spesso la gente muore, sono un posto in
cui, peggio, la gente nasce...
E un lager...
E' una cosa stata, cosa che sarà, può essere in un ghetto,
fabbrica, città,
contro queste cose o chi non lo vorrà, contro chi va contro
o le difenderà,
prima per chi perde e poi chi vincerà, uno ne finisce ed uno
sorgerà
sempre per il bene dell'umanità, chi fra voi kapò, chi
vittima sarà
in un lager?
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Black-out
La luce è andata ancora via, ma la stufa è accesa e così
sia,
a casa mia tu dormirai, ma quali sogni sognerai
con questa luna che spaccherà in due le mie risate e le
ombre tue,
i miei cavalli ed i miei fanti, il tuo Hesse sordo ed i tuoi
canti,
tutti i ghiaccioli appesi ai fili, tutti i miei giochi e i
tuoi monili,
i campanili, i pazzi, i santi e l'allegria.
E non andrà il televisore, cosa faremo in queste ore?
Rumore attorno non si sente, gochiamo a immaginar la gente,
corriamo a fare gli incubi indiscreti, curiosi d' ozi e di
segreti,
di quei pensieri quotidiani che a notte il sonno fa lontani
o che nel sogno sopra a un viso diventan urlo od un sorriso,
il paradiso, inferno, mani, l' odio e amore.
Avessi sette vite a mano in ogni casa entrerei piano
e mi farei fratello o amante, marito, figlio, re o brigante
o mendicante o giocatore, poeta, fabbro, Papa, agricoltore.
Ma ho questa vita e il mio destino, e ora cavalco l'appennino
e grido al buio più profondo la voglia che ho di stare al
mondo:
in fondo è proprio un gran bel gioco a far l'amore tanto e
non bere poco.
E questo buio, che sollievo, ci dona un altro medioevo,
io levo dall' oscurità tutta la nostra civiltà,
velocità di macchine a motore, follia di folla e di rumore
e metto ritmi più lontani, di bestie, legni, suoni umani,
odore d'olio e di candele, fruscìo di canapi e di vele,
il miele, il latte, i pani e il vino vero.
Ma chissà poi se erano quelli davvero tempi tanto belli
o caroselli che giriamo per l' incertezza che culliamo
in questa giostra di figure e suoni, di luci e schermi da
illusioni,
di baracconi in bene o in male, di eterne fughe dal reale
che basta un po' d' oscurità per darci la serenità,
semplicità, sapore, sale e ritornelli.
Non voglio tante vite a mano, mi basta questa che viviamo,
comuni giorni intensi o pigri, gli specchi ambigui dei miei
libri,
le tigri della fantasia, tristezza ed ottimismo ed ironia.
Ma quante chiacchiere stavolta, che confusione a ruota
sciolta,
lo so che è un pezzo che parliamo, ma è tanto bello, non
dormiamo,
beviamo ancora un po' di vino, che tanto tra due sorsi è già
mattino.
Su sveglia e guardati d' attorno, sta già arrivando il nuovo
giorno,
lo storno e il merlo son già in giro, non vorrai fare come
il ghiro...
Non c'è black-out e tutto è ormai finito e il vecchio frigo
è ripartito,
con i suoi toni rochi e tristi scatarra versi futuristi...
Lo so siam svegli ormai da allora, ma qualche cosa manca
ancora...
finiamo in gloria amore mio che dopo, a giorno fatto, dormo
anch'io...
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Milano (Poveri bimbi di)
Quando son nato io pesavo sei chili,
avevo spalle da uomo e mani grandi come badili.
Quando son nato io eran davvero tempi cupi
e le mie strade erano piene di iene e di lupi.
Quando son nato io la morte stringeva la vite
e la gente del mondo ingoiava cordite...
Poveri bimbi di Milano, coi vestiti comprati all' Upim,
abituati ad un cielo a buchi che vedete sempre più lontano.
Poveri bimbi di Milano, così fragili, così infelici,
che urlate rabbia senza radici con occhi tinti e con niente
in mano.
Poveri bimbi di Milano, derubati anche di speranza,
che danzate la vostra danza in quello zoo metropolitano.
Poveri bimbi di Milano, con fazzoletti come giardini,
poveri indiani nella riserva, povere giacche blu
questurini...
Quando son nato io c' era la fame nera
e la vita d' ognuno tirava il lotto ogni sera.
Quando son nato io le città erano cimiteri
e la primavera sbocciava sopra ai morti di ieri.
Quando son nato io alla fine ci fu gran festa
e l' uomo si svegliò dal sonno, aprì gli occhi e rialzò la
testa...
Poveri bimbi di Milano dall' orizzonte sempre coperto,
povera sete di libertà costretta a vivere nel deserto.
Poveri bimbi di Milano dalle musiche come un motore,
col più terribile dei silenzi la solitudine del rumore.
Poveri bimbi di Milano, figli di padri preoccupanti
con un esistere da nano e nella mente sogni giganti.
Poveri bimbi di Milano, numerosi come minuti,
viaggiatori di mete fisse, spettatori sempre seduti...
Quando son nato io, come capita a tutti,
il tempo uguale e incurante imponeva i suoi frutti.
Quando son nato io nel rogo di San Silvestro
si bruciava il passato e il peccato col resto.
Quando rinasceremo, come il sogno d' un uomo,
bruceremo il futuro in piazza del Duomo...
(torna su)
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